Scuola di Psicoterapia:L’adolescenza non è una malattia
L’adolescenza non è una malattia
A cura di Roberto Rinaldi
Psicoterapeuta Funzionale
Mai come in questo momento l’adolescenza è al centro di studi e discussioni e questo per molteplici motivazioni. Senza dubbio essa costituisce – nelle sue fasi in cui si è venuta a modificare rispetto al passato pre-adolescenza, adolescenze e adolescenza protratta – il periodo più lungo della vita; per l’importanza che essa riveste nella formazione della persona; per gli innumerevoli e clamorosi fatti di cronaca che hanno visto e vedono gli adolescenti protagonisti.
Si è portati, pertanto, a ritenere l’adolescenza come un periodo della vita naturalmente patologico con la convinzione che malesseri, disagi e conflitti siano connaturati a questa età. Ed è vero che l’adolescente è in balia di grandi cambiamenti che non devono, però, necessariamente essere etichettati come patologie, semmai considerati caratteristiche del Sé della persona-adolescente in questa particolare fase della vita. L’adolescente, infatti, nel momento del cambiamento virulento, ha necessità di essere visto, capito e accolto.
Il suo modo diverso di essere, da quel bambino con il quale eravamo abituati a rapportarci fino a qualche istante prima, vuole essere accolto con amore, pazienza e morbidezza. A nulla serve il “muro contro muro”, la risposta aggressiva e acida; bisogna, invece, che gli adulti – genitori, educatori e tutti coloro che hanno contatti con l’adolescente nei vari ruoli – intraprendano la strada dell’ascolto, della tolleranza, dell’incoraggiamento e dell’amore. L’adolescente, pertanto, va visto ed incontrato nella sua interezza abbandonando, nell’approccio con lui, miopi modalità parcellizzanti: affetto nei rapporti familiari, corpo in rapporto allo sport, malato nello studio dello psicologo, capacità intellettive rispetto ai risultati scolastici.
E’ molto importante per comprendere il mondo dell’adolescente comprendere il mondo nel quale sono cresciuti e stanno crescendo i nostri figli. E’ un mondo lontano, forse troppo, da quello che ci vide a nostra volta adolescenti. I nostri bambini sono cresciuti immersi in un bombardamento di immagini proiettate da televisione e videogiochi, in un’epoca popolata da computer e ingombra di realtà virtuali. Tutto ciò ha creato adolescenti che, se da un lato mostrano grandi capacità di fantasticare e di creatività, dall’altro, però, presentano una compressione e atrofia della concretezza. Una vita accelerata, pensieri e movimenti rapidissimi ed un’incapacità di reggere la lentezza, i tempi morti, le pause per riflettere, lo spazio per la lettura.
I movimenti, in particolare, sono divenuti rapidi, piccoli e a scatti, proprio per le ore trascorse con i videogames; così anche il linguaggio appare essere a scatti, composto di poche parole, con richieste e domande a raffica cui si pretendono risposte rapide senza lasciare il tempo per soluzioni meditate.
Si è persa anche la capacità del movimento a tutto campo, che permette di esercitare a pieno la propria forza, che permette di espandersi, di occupare grandi spazi, di mettere in moto tutti i muscoli fino a stancarsi per poi ricreare il sollievo nel riposo e nell’abbandono. Ciò crea l’insorgere di quell’irrequietezza corporea e verbale che caratterizza i nostri figli: non si tollera lo stare fermi, non si accetta il silenzio, non si va incontro al mondo, ma si delega tutto all’esperienza visiva ed uditiva perdendo la dimestichezza con il tatto, l’odorato ed il gusto.
A conferma ulteriore di ciò, viene la notizia, diffusa da un noto quotidiano nazionale, degli esiti di uno studio condotto dall’università inglese di Warwick secondo cui i nostri ragazzi, per la prima volta nella storia dell’umanità, ricorrono all’uso del pollice più di ogni altro dito della mano. Per l’utilizzo del Gameboy, della Play station, dei telefonini per inviare sms, infatti, l’adolescente si avvale prevalentemente dell’uso massiccio del dito pollice, tanto è vero che, stando alla ricerca della Warwick University, si è venuta a determinare una vera e propria mutazione del fisiologico.
Le turbo-tecnologie, nei fatti, stanno provocando nell’umano veri e propri mutamenti della sfera funzionale del fisiologico; mutamenti che avvengono, in particolare, in tempi rapidissimi rispetto ai cambiamenti precedenti che avvenivano nell’arco dei secoli. La mutazione delle sfera funzionale finirà per cambiare definitivamente anche gli stessi codici della comunicazione sociale e simbolica tra i giovani.
I motivi del disagio? Le esperienze frustrate
Affinché il bambino diventi prima un adolescente e poi un uomo che si muova nella sua vita, nella gioia, nel benessere, nella salute vanno soddisfatti in maniera piena, costante, e continua i bisogni fondamentali delle esperienze positive (L.Rispoli, 2004) di cui l’essere preso, il nutrimento, la possibilità di abbandonarsi all’altro, il poter “stare” senza la responsabilità di dover ricambiare.
L’eventuale carenza di tali esperienze basilari nella crescita del bambino provoca alterazioni sui vari piani del Sé, sia corporee che psichiche che preludono l’insorgere nell’adolescente di disturbi, sintomi, disagi.
E’ importantissimo, quindi, per i genitori e gli educatori rilevare all’insorgere quei segnali di disagio provocati da esperienze primarie frustrate. Disagi che si ritrovano sia nel corpo che nei processi del bambino.
Malattie, problemi comportamentali, difficoltà nel socializzare, problemi nel linguaggio, rischi di tossicodipendenza, “bullismo” non esplodono improvvisamente, ma sono l’evoluzione di alterazioni già da molto in atto e che, se riconosciute in tempo e raccolte, possono dar vita a interventi che impediscono l’insorgere di successive patologie più o meno complesse.
Massima attenzione dunque alle eventuali alterazioni psico-corporee dei ragazzi affidati alle nostre cure, tanto se si è genitori quanto pediatri, psicologi, insegnanti, operatori. Queste alterazioni possono svilupparsi disarmonicamente: “… alcune rimanere ipertrofiche, altre divenire ipertrofiche. Un’emozione di rabbia può prendere troppo spazio, un ricordo si ingrandisce, le sensazioni corporee possono rimanere soffocate e limitate; diventare stereotipate, limitate, ripetitive: una stessa fantasia, un movimento sempre uguale, una postura di malinconia cronicizzata. Sconnettersi le une dalle altre: una paura somatizzata nel sistema neurovegetativo non avvertita come emozione, una rigidità nei movimenti che diviene rifiuto, una postura di fragilità che contrasta con l’immagine del Sé” (L.Rispoli).
Importantissimo per l’adulto, che nei suoi diversi modi interagisce con il bambino, è cogliere, anche in assenza di sintomi, quei segnali lievi e sottili che possono farci prevedere il rischio di futuri disturbi.
Di grande importanza è l’osservazione del modo di respirare del bambino può darci elementi per farci prevedere l’entità del rischio di alterazioni future. Vi sono bambini che respirano cronicamente con modalità di vigilanza. Tale alterazione del respiro condizionerà in senso negativo anche le emozioni, le fantasie, i movimenti, se il bambino continuerà a respirare in maniera vigile avremo un adolescente insicuro di sé.
Bisogna osservare il bambino considerandolo organismo unitario e non parcellizzato, guardandolo attraverso differenti angolazioni per prevenire l’insorgere delle alterazione e salvaguardare il benessere dei nostri ragazzi.
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