Scuola di Psicoterapia: Intervistiamo il Dottor Francesco Bottaccioli.
All’interno del 3° numero della Rivista scientifica troviamo un interessante intervista al Dottor Francesco Bottaccioli.
La Psicologia e la Medicina riusciranno realmente a integrarsi in un futuro?
Francesco Bottaccioli è fondatore e presidente onorario della Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia disciplina che insegna nella formazione post-laurea di alcune Università, tra cui quella dell’Aquila, dove dirige il Master di II Livello in “Pnei e scienza della cura integrata”, rivolto a medici e psicologi. Ha pubblicato numerosi libri, di cui alcuni tradotti all’estero. Gli ultimi due sono: Epigenetica e Psiconeuroendocrinoimmunologia, Edra-Elsevier, Milano 2014; La saggezza del secondo cervello, II ed., Tecniche Nuove, Milano. Sta lavorando a un Manuale di PNEI e scienza della cura integrata atteso per il 2016. Riferimenti: www.simaiss.it; www.sipnei.it; francesco.bottaccioli@gmail.com |
Quali sono i risultati più importanti e accurati che la Medicina oggi ha raggiunto?
Direi che complessivamente, nel corso del Novecento, la Biomedicina ci ha fornito una conoscenza sempre più dettagliata del funzionamento cellulare, un forte miglioramento nelle tecniche di visualizzazione e di indagine dell’organismo umano, un robusto miglioramento dei dispositivi e delle tecniche chirurgiche, che, in alcuni settori, ha raggiunto livelli davvero impressionanti. Sul piano farmacologico, l’innovazione della metà del secolo scorso, con gli antibiotici, il cortisone e gli psicofarmaci, non è stata seguita da un progresso analogo negli ultimi decenni.
Ci sono aspettative nella Medicina che sono andate deluse?
La delusione più cocente degli ultimi anni riguarda la genetica. Il “Progetto genoma”, l’ambizioso programma di ricerca, iniziato nei primi anni ’90, che doveva condurre alla conoscenza di tutta l’informazione contenuta nel genoma umano tramite la decifrazione della sua sequenza, si è concluso con un fiasco da vari punti di vista. Nel 2000 il suo completamento fu annunciato in pompa magna da Bill Clinton e Tony Blair. Da quel momento doveva aprirsi una nuova era: l’era della conoscenza certa dei determinanti ultimi e semplici della salute e della malattia.
Finalmente sarebbero giunti a conclusione secoli di ricerca orientata dal paradigma riduzionista e meccanicista che si è imposto definitivamente in Europa nella seconda metà dell’Ottocento e che, nel corso del Novecento, ha conquistato tutte le componenti delle società occidentali: i grandi apparati produttivi privati e pubblici, le istituzioni statali, i sistemi formativi, di cura e di comunicazione sociale. In particolare negli ultimi decenni del secolo scorso, la mente dei cittadini e quella dei ricercatori e degli operatori sanitari è stata dominata dagli stessi ideali scientifici, riassunti nella fondata speranza – che dopo l’annuncio della conclusione del Human Genome Project era diventata ferma convinzione – che finalmente il libro della vita era lì, squadernato, sotto i nostri occhi curiosi e capaci di carpirne i segreti. In realtà, quella data può essere letta come la certificazione della crisi finale del paradigma biomedico riduzionista e meccanicista.
Quali settori o ambiti della Medicina non hanno dato i risultati sperati, non hanno fatto passi in avanti veramente significativi?
Il fallimento della genetica riduzionista (che, si badi bene, non vuol dire che non dobbiamo conoscere gli aspetti molecolari della vita – ma questo punto lo riprenderò successivamente) ha ostacolato i progressi possibili in due campi fondamentali: 1) lo studio della fisiopatologia con un approccio sistemico e cioè che guardi all’essere umano intero, alla interazione tra i sistemi fondamentali e segnatamente tra il sistema psichico e i sistemi biologici; 2) la definizione di cure ad alta efficacia e a basso impatto, sia in termini di effetti secondari, spesso invece più gravi dei disordini primari che vengono trattati, sia in termini di uso delle risorse economiche e ambientali collettive. Di qui, la continua necessità di tagliare la spesa del servizio sanitario che ovviamente va a colpire le persone più deboli e bisognose di cure, incrementando la disparità di salute, benessere e anche di mortalità tra i ceti sociali, a favore dei più benestanti. Per riprendere un editoriale, pubblicato nel 2012 sul New England Journal of Medicine, probabilmente la più autorevole rivista di clinica medica del mondo, la medicina corrente medicalizza i fattori di rischio, è incapace di fare vera prevenzione primaria, è attardata su un modello sanitario ospedale-centrico, novecentesco, obsoleto. perché fondato su una popolazione giovane, che non c’è più, che si ammalava di malattie infettive, mentre oggi più del 70% della mortalità in occidente deriva da malattie croniche come malattie cardiovascolari, cancro, diabete e autoimmunità.
La Psicologia e la Medicina riusciranno realmente a integrarsi in un futuro?
Questa è la scommessa e la missione della Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia e di tutto il movimento scientifico internazionale che fa riferimento alla PNEI. Senza questa integrazione non ci sarà avanzamento significativo nella capacità di conoscenza e di cura dell’essere umano, semplicemente perché l’essere umano non è un corpo senza mente, o una mente senza corpo, è intero e va conosciuto e trattato come tale.
Oggi possiamo farlo perché abbiamo una scienza non riduzionista, la PNEI, che consente di integrare il piccolo e il grande, la conoscenza molecolare con quella sistemica e della persona. Basta vedere come l’avanzamento delle conoscenze nel campo dell’epigenetica si sposi felicemente con le acquisizioni delle scienze psicologiche. Per esempio nel campo dello studio delle prime fasi della vita e dei legami di attaccamento, ma anche nel campo che più vi riguarda che è quello del collegamento tra corpo, inteso come insieme di sistemi biologici, e psiche, intesa come insieme strutturato di funzioni che emergono dall’attività delle reti nervose.
Come SIPNEI stiamo facendo un grosso sforzo di coinvolgimento delle Istituzioni formative, in primis le Università, promuovendo congiuntamente attività formative (Master post-laurea) e congressi: l’ultimo, per esempio, fatto assieme all’Università di Torino a quella del Piemonte orientale e a quella dell’Aquila, era organizzato congiuntamente dai dipartimenti di medicina, di psicologia e di filosofia, con relatori medici, psicologi, filosofi e si è chiuso proprio con una sessione di filosofia della scienza.
Ma vogliamo anche offrire il nostro contributo al rinnovamento della Psichiatria e della Psicoterapia, perché pensiamo che ci siano le condizioni scientifiche per un salto di qualità nella tradizionale visione dell’essere umano alla base delle diverse scuole di psicoterapia. Su questo, nell’ottobre prossimo faremo un congresso a Roma invitando i leader delle principali tradizioni psicoterapeutiche per un confronto a tutto campo.
Infine, stiamo facendo importanti esperienze di Formazione post-laurea, come il Master di II Livello in PNEI e scienza della cura integrata all’Università dell’Aquila, dove medici e psicologi, in pari dignità, studiano fianco a fianco e progettano ricerche e collaborazioni professionali.
Come possono fare le persone oggi a sapere come curarsi: se usare anche la medicina alternativa e quale, e quali rimedi, visto che c’è una quantità di offerte, di prodotti di ogni genere?
Dalle ultime statistiche ISTAT emerge che in Italia i cittadini usano sempre meno le tradizionali medicine alternative. Certo, è colpa della crisi economica che danneggia un settore eminentemente privato, ma credo che le ragioni siano più di fondo. il cittadino richiede al proprio terapeuta, medico ma anche psicologo, di essere competente nella propria disciplina ma anche di essere capace di fornire una informazione scientifica adeguata ai tempi e, soprattutto, di essere un tutor della sua salute e quindi una risorsa da usare per costruire reti di cura e di promozione della salute. Occorre una nuova figura di operatore sanitario (medico, psicologo, fisioterapista, dietista…), scientificamente solido, conoscitore della scienza sistemica, che sia in grado di aiutare il paziente a cambiare il suo funzionamento tramite quella che gli antichi medici greci chiamavano diaita, che poi i romani tradussero con regimen e che i loro contemporanei cinesi chiamavano yangshen (nutrizione della vita), fondata su alimentazione, attività fisica, gestione delle emozioni. Su questa base è possibile inserire terapie naturali efficaci e sicure, come l’agopuntura, la fitoterapia, l’osteopatia ed altre.
I disturbi e i malesseri tanto frequenti (dolori di testa, dolori muscolari, sonno difficile, ansia, agitazioni..) si possono risolvere senza correre subito a prendere medicinali raggiungendo un benessere con altri metodi alla portata di tutti?
Ormai sono numerosi gli studi controllati che dimostrano che terapie comportamentali, come per esempio la meditazione, hanno un’efficacia sovrapponibile se non superiore alla farmacologia nei disturbi citati. Anche noi siamo personalmente impegnati in questo lavoro di ricerca sperimentale. Il nostro Metodo meditativo PNEIMED, Meditazione a indirizzo Pnei, ha già dimostrato in studi controllati pubblicati in riviste peer review (l’ultimo randomizzato controllato all’Università dell’Aquila è in corsi di stesura) che un breve insegnamento di 30 ore è in grado di abbattere la sintomatologia depressiva ansiosa e di somatizzazione. Un importante riconoscimento al nostro metodo è venuto dal King’s College di Londra, la prestigiosa università inglese, il cui dipartimento di Neuroscienze ci ha invitato a presentare il nostro metodo in un workshop, all’interno del Congresso annuale di Neuroscienze, che si terrà a Londra il 9 gennaio 2016.
Ma anche in patologie diffuse e dolorose, di tipo strettamente somatico, è possibile intervenire con terapie comportamentali e naturali, Per esempio la cefalea e l’emicrania cronica. In Aprile a Firenze faremo un Convegno, assieme all’Università di Firenze e al Centro Cefalee del Careggi, su “Terapie non farmacologiche e integrate delle cefalee”.
Insomma, siamo in marcia. Attendiamo che molti altri, dai diversi campi clinici e di ricerca, si uniscano a noi, incrementando le collaborazioni e le condivisioni. Solo così potremmo dare una mano non solo alla scienza e alla cura, ma anche ad una società umana in cui le forze disgregative sembrano essere sempre più forti e minacciose.
Articolo tratto dalla rivista Neo-Funzionalismo e scienze Integrate n 3, Dic. 2015
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